L’impianto di dispositivi nel corpo umano ormai è una realtà. Gli impianti possono essere passivi (come giunti, valvole artificiali o impianti vascolari) o attivi, essere reversibili o meno.
Sugli impianti attivi è stata emanata una direttiva Europea, la 90/385/EEC. Impianti attivi sono ad esempio i pacemaker, le protesi cocleari, gli stimolatori cerebrali per pazienti affetti da morbo di Parkinson, depressioni o sindromi ossessive, dispositivi neurostimolatori per persone che soffrono di dolori cronici, incontinenza o epilessia; o ancora, microdosatori di farmaci o di insulina per diabetici.
Altre applicazioni che saranno introdotte in futuro includono gli impianti di sensori per la visione artificiale per non vedenti, i bioMEMS (Biological Micro Electro - Mechanical System). Questi sono sensori che possono avere le dimensioni di un globulo rosso nel sangue in grado di raccogliere i suoi parametri fisiologici, comunicare con un server esterno per scopi diagnostici o calcolare il dosaggio dei farmaci. Alcuni immaginano persino chip impiantabili nel cervello che possono far recuperare o migliorare la memoria.
Un esempio di dispositivo impiantabile è il tag RFID. I chip hanno le dimensioni di un granello di riso e possono essere inseriti sotto la pelle (ad esempio del braccio) per mezzo di una siringa. Un rivestimento biocompatibile fa aderire il tag al muscolo impedendone il movimento. I tag contengono un numero di identificazione unico. Se attivati da uno scanner, emettono un segnale radio al lettore, il quale lo trasmette a sua volta a un database. Possono essere usati per la raccolta di dati medici, come il gruppo sanguigno, eventuali allergie o ricoveri precedenti.
Il MIT (Massachussets Institute of Technology) ha condotto uno studio da cui è emerso che i livelli di potenza emessi dai tag RFID impiantabili sono così modesti da non arrecare danni per la salute: causano solo un impercettibile riscaldamento del tessuto sottocutaneo.
Nel 2004 la Food and Drug Administration ha approvato l’uso di tag RFID da impiantare negli esseri umani. La società americana Verichip ha già venduto 7000 chip per l’uso sugli esseri umani, di cui 1000 sono stati impiantati.
Negli Stati Uniti si sta pensando di dotare di tag RFID impiantabili ai praticanti di sport estremi che normalmente non indossano il portafogli quando si stanno allenando.
Le applicazioni dei tag RFID impiantabili nell’uomo spaziano anche al di fuori del campo propriamente medicale come ad esempio nella localizzazione di persone in libertà provvisoria. Una discoteca di Barcellona ha introdotto un sistema di identificazione RFID impiantabile per garantire la privacy ai VIP. Questi possono infatti entrare in discoteca e pagare le consumazioni senza dover mostrare alcun tipo di documento o carta di credito.
L'impianto sottocutaneo di microchip in esseri umani solleva problematiche etiche delicate sulla privacy, sulla dignità umana e su possibili pericoli di pratiche di discriminazione o di eugenia. Anche nei casi in cui il loro impiego è stato permesso (come negli Stati Uniti), sono stati comunque messi in evidenza i potenziali rischi per la sicurezza dei dati personali trattati. Anche il garante Italiano della privacy si è espresso in merito all’impianto sottocutaneo di microchip.
L’idea di impiantare tag RFID negli esseri umani venne a seguito dei fatti tragici dell’11 Settembre.
I tag sono molto simili a quelli usati per anni per l’identificazione degli animali da compagnia in sostituzione del tatuaggio, che spesso si scolorisce diventando illeggibile; il chip inoltre è meno doloroso per l’animale. Tale modalità di identificazione, stabilita anche a livello comunitario dal regolamento CE 998/03 sul controllo sanitario degli animali permette, ad esempio, di risalire in modo rapido ai proprietari di cani smarriti, tramite i dati di iscrizione all’anagrafe ASL contenuta nei tag. Al termine di un periodo transitorio di 8 anni, in Italia sarà accettata solo la marchiatura con tag RFID, anche se alcune regioni, tra cui la Lombardia, già oggi non ricorrono più all’uso del tatuaggio. Nel chip è memorizzato un codice numerico di 15 cifre: le prime 3 identificano il codice del Paese o del produttore del microchip, mentre le altre 12 rappresentano l’ID dell’animale.
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