Tuesday, October 28, 2008
Tuesday, October 21, 2008
Sunday, October 19, 2008
Thursday, October 9, 2008
Wednesday, October 8, 2008
Monday, October 6, 2008
Intelligenza Artificiale I.A. il conto alla rovescia è iniziato.
Friday, October 3, 2008
Violenza virtuale nelle scuole USA
Thursday, October 2, 2008
- Il nuovo disordine mondiale
di EZIO MAURO
Non è solo finanza, non sono banche e Borsa solamente che stanno bruciando in questo incendio mondiale che sembra voler resettare il secolo dagli ultimi inganni e dall'unica ideologia superstite - un mercato universale senza Stato e senza governo - prima di farlo davvero ripartire. Chi dice che il capitalismo crolla mentre resuscita il socialismo non ha di nuovo capito niente, perché il capitalismo assiste all'incepparsi non di sé, ma del nuovo sistema di scambio simultaneo universale che sfrutta da un decennio lo strumento di reti che avviluppa il mondo abbattendo spazio e tempo, grazie alla potenza del motore tecnologico di internet, capace di vincere la storia rendendo tutto contemporaneo, e persino la geografia, facendo ubiqua ogni cosa. Ma non c'è dubbio che un pezzo di modernità sta saltando insieme alle banche d'affari, e questo ci coinvolge tutti, dovunque e comunque viviamo, perché ciò che va in crisi a Wall Street riguarda non solo l'America ma l'Occidente. In realtà vengono oggi al pettine nodi politici, economici, culturali, che nascono tutti nel Novecento mentre credevano di risolverlo, e sono invece arrivati fin qui senza riuscire a sciogliersi.
La credenza, prima di tutto, di una ricchezza e di una crescita senza il lavoro, senza una comunità di riferimento, dunque senza una responsabilità pubblica e le regole che ne conseguono. La riduzione della complessità della globalizzazione alla sola dimensione economica, anzi finanziaria. Lo scarto tra economia reale e realtà dei mercati finanziari, tra le transazioni valutarie e le transazioni commerciali, tra le merci, la moneta e il clic che invia l'ordine di comprare o di vendere in base a indicatori computerizzati. Il divario tra ricchi e poveri, che il boom tecnologico e finanziario ha accentuato, anche dentro gli stessi Paesi in via di sviluppo. Le nuove, improvvise gerarchie sociali che sono nate da questo sommovimento con una forza culturale che pretende il riordino di competenze, saperi, professioni, gruppi sociali, comunità, quartieri, aree del mondo e Paesi.
Il nuovo disordine mondiale, oggi, nasce proprio da qui.
La prima reazione alla crisi è il timore di rimanere coinvolti nella perdita improvvisa di ricchezza dovuta all'inganno di prodotti finanziari avariati, o alla speculazione sulla perdita di credibilità universale delle banche, o alla paura irrazionale che diventa panico e fuga.
Ma subito dopo, o contemporaneamente, cresce la preoccupazione per una domanda di governo complessiva della situazione, che non trova risposta, perché non sa nemmeno più quale sia il soggetto giusto a cui rivolgere la pretesa del cittadino di essere tutelato. Di vedere all'opera quello strumento di cui la globalizzazione credeva di poter fare a meno, nell'illusione di bastare a se stessa: cioè la politica.
Il problema è che in questi anni è finita fuori gioco non soltanto la politica come tecnica, o come azione delle istituzioni, ma qualcosa di più complesso. La rivoluzione finanziaria internazionale ha sfidato l'autorità tradizionale, la potestà stessa dello Stato-nazione a cui oggi i cittadini si rivolgono, come sempre nei momenti di crisi, accorgendosi improvvisamente che è scavalcato dai flussi e dalle reti della globalizzazione, i quali creano una nuova legittimità transnazionale - e non solo un mercato universale - a cui non corrispondono né uno Stato né un governo. La "bolla" è quanto di più moderno esista, perché non ha luogo, non ha confini, ignora le distanze come le tradizioni, conosce un'unica legge che è quella della crescita. Ma per le stesse ragioni è quanto di più lontano dallo Stato nazionale, dai suoi computi fiscali e dalla sua rete di responsabilità solidali o anche soltanto sociali. Quando va in crisi un sistema finanziario che muove ogni giorno una massa di scambi valutari molto superiore al Pil di vari Paesi, nessuna istituzione statale ha la capacità e la legittimità per controllare quel flusso in movimento.
Ci accorgiamo così che in questo processo non c'era stata soltanto una scissione tra capitale e lavoro, già consumata e evidente a tutti. In realtà è saltata l'alleanza tradizionale tra l'economia di mercato e lo Stato sociale, come dice Ulrich Beck, un'alleanza che ha sorretto per decenni il diritto, le istituzioni, la politica, la legittimità stessa delle classi dirigenti che si alternavano al comando, in una parola la forma pratica e quotidiana della democrazia occidentale. Da qui discendeva l'autorità (estenuata e faticosa, e tuttavia resistente) del governo della democrazia, e da questa autorità nasceva la governance della modernità che conosciamo, probabilmente l'unica possibile. Questa legittimità democratica nel governo della complessità contemporanea risiedeva soprattutto nel tavolo di compensazione tra i premiati e gli esclusi, quello che Bauman chiama il "nesso" tra povertà e ricchezza, una dipendenza che in realtà è un vincolo di responsabilità e attraverso la civiltà del lavoro (con i suoi conflitti) ha tenuto fino a ieri insieme e in gioco i vincenti e i perdenti della globalizzazione.
Se questo è vero, c'è addirittura un contratto sociale da riscrivere, una sovranità da ristabilire, un'autorità democratica che garantisca i diritti anche nel mondo postnazionale, prendendo possesso persino delle bolle senza spazio né tempo della globalizzazione. Anche perché la crisi complica la prospettiva, ma ripulisce lo sguardo. Il broker per strada a Wall Street, con la sua biografia professionale nello scatolone del licenziamento, esce dall'indistinto virtuale del paesaggio elettronico per tornare ad essere una figura sociale, politica, che non abita solo i numeri della finanza globale, ma cammina per la città reale. Così come il consumatore finirà per tradurre su se stesso - cioè su un soggetto di nuovo politico, sociale - il saldo finale del salvataggio americano, attraverso il peso ingigantito del debito. Tornano così ad avere senso quelle categorie che non riuscivano ad afferrare la crisi, perché i suoi paradigmi erano tutti post-moderni, creati per un'altra dimensione: il diritto, la diplomazia, la politica internazionale, addirittura il sindacato. Con l'ambizione di non tornare indietro, né attraverso la regressione di una chiusura insensata nei nazionalismi né attraverso la tentazione di contrapporre Main Street a Wall Street, vellicando le paure per farle popolo, o almeno plebe, comunque forza d'urto populista.
Una rete sociale, culturale, politica e istituzionale (basta pensare all'Europa e ai suoi ritardi) da ricostruire. Che gran compito per la politica: se la politica ci fosse, e soprattutto se fosse capace di pensare se stessa senza pensare politicamente.
(2 ottobre 2008) La Repubblica
Wednesday, October 1, 2008
Pubblicità Progresso? No Dark Bailout
by Roldano De Persio
In questi giorni le orche assassine di Wall Street hanno finito il pesce e temono la morte per fame dopo aver depredato tutto quello che gli capitava a tiro. Il governo Bush caldeggia il Bailout di 700 miliardi di dollars per salvare le banche sull’orlo del baratro, le stesse banche che hanno sfruttato fino al midollo i contadini e gli operai americani facendogli credere l’esistenza il paradiso in terra.
Il congresso USA ha risposto picche ed è successo il finimondo. Borse a picco e osservatori di tutte due le sponde dell’Atlantico che si stracciano le vesti e anche i capelli per lo scandalo. Qui, a detta di molti osservatori economici, se i debiti accumulati dagli squali di Wal Street non vengono spalmati ben bene sulle schiene di ogni singolo cittadino americano e forse europeo e anche cinese c’è il rischio che lo stesso cittadino perda anche il posto. Come si dice cornuti e mazziati.
Avete paura per i vostri risparmi? Temete di diventare barboni senza casa. Non c’è problema negli USA è appena nata una nuova forma di pubblicità che si chiama Bumvertising. In cosa consiste? Semplice si affitta un Bum, noto anche come Hobo, cioè senza casa e sul cartone dove racconta la sua triste storia ci si mette un bel banner pubblicitario. Il costo è molto basso, bastano infatti un po’ di noccioline, qualche barretta di cioccolata ed un po’ d’acqua ed il gioco è fatto.
Nei prossimi giorni rimarremo tutti con il fiato sospeso per vedere quanto dark può diventare lo scenario dell’economia mondiale sperando che certe scene spettacolari e tragiche rimarranno confinate nei film di super uomini lugubri e affascinanti come Batman.
Anche se ricordo che Wall Street sta a New York e non ad Hollywood.
La privatizzazione dell'IP enforcement
Non si conoscono ancora le motivazioni sulla base delle quali i Giudici del Tribunale di Bergamo sono pervenuti alla decisione di questa mattina ed è, naturalmente possibile che tali motivazioni concernino la procedura piuttosto che il merito della questione.
L'occasione, tuttavia, mi sembra opportuna per svolgere qualche considerazione su quanto sta accadendo sul terreno dell'enforcement dei diritti di proprietà intellettuale.
C'è, infatti, una sottile linea rossa che unisce il caso Thepiratebay, la vicenda Peppermint, la questione legata al venir meno dell'obbligo di apposizione del contrassegno SIAE della quale ci si è occupati nei giorni scorsi su queste pagine e la soluzione francese Olivennes - Sarkozy per la lotta alla pirateria audiovisiva on-line.
Il denominatore comune è, in tutti questi casi, rappresentato da un eccesso di privatizzazione dell'enforcement dei diritti di proprietà intellettuale.
Nella vicenda Peppermint, egualmente, l'etichetta discografica tedesca aveva ben pensato di affidare l'attività investigativa propedeutica alla richiesta risarcitoria poi rivolta a migliaia di utenti di mezz'europa ad una società investigativa privata svizzera, la Logistep AG salvo poi, ricorrere, all'Autorità giudiziaria per ottenere il "ricongiungimento" degli IP tracciati con i nominativi dei presunti pirati.
In Francia Sarkozy ed Oliviennes si propongono di assicurare adeguata tutela ai titolari dei diritti di proprietà intellettuale imponendo agli Internet Service Provider - dei soggetti di diritto privato - di risolvere ex lege i contratti di connessione ad Internet di quegli utenti che - senza neppure bisogno di un processo dinanzi ad un'Autorità giurisdizionale - venissero colti con le mani nel barattolo della marmellata oops...con il mouse su un link che consenta il download di materiale protetto.
Nel più recente affaire del contrassegno SIAE, la società italiana di intermediazione dei diritti d'autore, difende, in proprio - e contro il volere e gli interessi delle stesse etichette discografiche - una norma, pressoché unica in Europa, per effetto della quale, di fatto, è essa stessa a valutare preliminarmente la legittimità o illegittimità dell'utilizzo di una determinata opera dell'ingegno, pretendendo poi - ancora oggi - di rilasciare il contrassegno quasi si trattasse di un "visto si stampi".
Non è una mia conclusione ma il contenuto letterale dei commenti che la Commissione Europea ha trasmesso al Governo Italiano in relazione alla nuova proposta di regolamento relativo alle modalità di apposizione del contrassegno che il nostro Paese si è visto costretto a notificare a Bruxelles a seguito della Sentenza Schubert che ha accertato l'illegittimità della previgente normativa in materia.
Si tratta di vicende assai diverse ma accomunate da un preoccupante comun denominatore: un'evidente privatizzazione della giustizia che, inesorabilmente, produce - almeno a livello di rischio - forme di grave violazione di diritti di rango pari-oridinato rispetto a quelli di proprietà intellettuale: la privacy degli utenti nel caso PirateBay e Peppermint, la libertà di manifestazione del pensiero nella sua più moderna accezione di accesso alla Rete nel caso della nuova disciplina francese sull'enforcement dei diritti d'autore e la libertà d'impresa nel caso del contrassegno SIAE.
La questione non concerne, ovviamente, la commistione di interessi pubblici e privati sul tema della proprietà intellettuale; tale commistione è naturale e discende dalla natura stessa dei diritti d'autore.
Il problema che sta emergendo con forza è, invece, un altro e concerne, piuttosto, la crescente privatizzazione dell'enforcement dei diritti di proprietà intellettuale nella fase investigativa, in quella dell'accertamento della violazione nonché in quella dell'eventuale irrogazione della sanzione.
Negli ultimi mesi, sotto tale profilo, stiamo assistendo ad un processo di privatizzazione di attività che dovrebbero essere appannaggio esclusivo dell'autorità giudiziaria che non ha eguali in nessun altro settore dell'Ordinamento.
In caso di furto di beni materiali il proprietario della cosa rubata non può farsi le indagini da solo o prestare strumenti di indagine alla polizia giudiziaria, nella circolazione dei beni materiali non c'è nessuna autorità - e tantomeno un'autorità non giurisdizionale ed espressione di interessi di parte - che "certifica" mediante l'apposizione di un'etichetta la liceità della provenienza del bene e, infine, in nessun caso di reato commesso con il mezzo della stampa si ordina allo stampatore di risolvere ex lege i contratti con l'editore precludendo, così, a quest'ultimo di arrivare con i suoi prodotti nelle edicole.
Si tratta di un'anomalia grave le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Sarebbe, tuttavia, troppo facile imputare le responsabilità esclusive di questo processo di privatizzazione-degenerazione della giustizia all'industria discografica, alla SIAE o alle lobby che, in Francia, hanno dettato la loro legge all'Esecutivo.
La questione è, infatti, più complessa: i portatori di diritti ed interessi sul mercato della proprietà intellettuale stanno riempiendo vuoti normativi relativi alla disciplina della circolazione dei contenuti digitali creati dalla pressoché totale assenza di una seria politica legislativa dell'innovazione e saturando spazi nell'attività di enforcement dei diritti di proprietà intellettuale che dovrebbero risultare già coperti dalle competenti Autorità cui andrebbero messi a disposizione mezzi e risorse proprie anziché costringerle ad elemosinare esperti, strumenti informatici e server da questo o quel soggetto privato.
La lezione che da vicende come quella di The Piratebay - ma anche dalle altre sopra ricordate - credo vada tratta è che ferma restando la possibilità dei titolari dei diritti di agire sul piano civilistico per il risarcimento dei danni eventualmente sofferti, l'accertamento degli illeciti di carattere pubblicistico deve rimanere appannaggio esclusivo delle forze di polizia e dell'Autorità giudiziaria.
In Ecuador vince il «nuovo Paese» di Correa
Vietata la presenza militare straniera nel Paese, via la base Usa di Manta. E poi importanti riforme economiche e sociali
L’Ecuador, un piccolo Paese sudamericano, raramente alla ribalta delle cronache, avrà una nuova Costituzione, fra le più avanzate al mondo
Chi pensava che il vento di innovazione che in questi anni sta soffiando in America Latina fosse un fugace e inconsistente moto rivoluzionario, evidentemente si sbagliava. Dal Venezuela, alla Bolivia, al Paraguay, all’Ecuador, le politiche di sinistra e socialiste, le spinte all’indipendenza dal giogo politico ed economico statunitense si consolidano e mietono risultati importanti, di cui uno dei più significativi è certamente la vittoria del referendum che darà all’Ecuador una nuova Carta costituzionale. A dare l’annuncio della vittoria del sì è stato lo stesso presidente Rafael Correa, l’uomo che dal 2006, l’anno della sua elezione, ha lavorato per lo sviluppo del Paese e per importanti riforme sociali e politiche.
Alle urne si sono recati più di 9 milioni di ecuadoriani e circa il 70%, una maggioranza schiacciante, ha votato per la nuova Magna Carta. I 444 articoli del nuovo, avanzatissimo testo promuovono nuovi principi di inclusione sociale, offrono nuovi diritti di cittadinanza a una popolazione afflitta dalla povertà ed estendono la copertura della sanità e dell’istruzione. Il lavoro è vietato ai minori sotto i 15 anni ed è obbligatoria la frequenza scolastica fino al completamento delle scuole superiori. E’ riconosciuto il diritto ad emigrare e sono tutelati i diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie. La nuova Costituzione riconosce la famiglia nelle sue varie forme, tutte le coppie non sposate, indipendentemente dal fatto che siano dello stesso sesso, beneficiano di tutti i diritti del matrimonio. Questo punto ha sollevato le ire della Chiesa e dei cattolici ecuadoriani che si sono uniti al fronte del no, rappresentato dalla classe ricca del Paese, preoccupata di una deriva socialista e statalista dell’economia. La carta approvata sancisce infatti che l´economia dell´Ecuador sarà «sociale e solidaristica», ed attribuisce alle imprese statali il controllo di settori strategici quali l´elettricità, le miniere, i trasporti, le telecomunicazioni ed il petrolio. Dato importante in uno Stato in cui le esportazioni di greggio rappresentano il 25% del prodotto interno lordo e dove sono presenti numerose multinazionali internazionali.
Fra le alte innovazioni introdotte c’è poi la possibilità della rielezione del presidente in carica e l’introduzione del concetto di plurinazionalità a lingue e minoranze indigene (Quechua e Shuar) che rappresentano circa il 20% dei 14 milioni di ecuadoriani e a cui ora l’articolo 257 conferisce poteri territoriali di auto-governo e la possibilità di usare le risorse naturali dei propri territori, fino ad oggi depredati dalle multinazionali.
La nuova Costituzione rappresenta una forte innovazione anche nella politica estera dell’Ecuador e la fine del potere economico e militare statunitense nella regione. Se molte compagnie nord americane dovranno andarsene dall’Ecuador, dopo averlo depredato per decenni, stessa sorte toccherà all’esercito Usa presente sul suolo ecuadoriano. Nell’articolo 5 della nuova Carta, elaborato dall’Assemblea costituente, si legge: ««L’Equador è un territorio di pace. Non è permessa la presenza di basi militari straniere né di installazioni straniere con propositi militari. Non si possono cedere basi militari nazionali a forze armate o di sicurezza straniere».
Ciò significa che entro il 2009 dovranno essere smantellate tutte le basi statunitensi in Ecuador, compresa la base militare di Manta, la più grande del Sud America, situata vicino al confine colombiano, fondata negli anni ‘90 con l’obiettivo della lotta al narcotraffico ma anche per controllare le insurrezioni e la guerriglia nei Paesi sudamericani.
«E’ un momento storico, l´Ecuador ha scelto un nuovo Paese, sconfiggendo le vecchie strutture», ha annunciato all’arrivo dei risultati Correa, che ha parlato alla nazione da Guayaquil, la sua città natale dove ha atteso la chiusura dei seggi.
La nuova Costituzione innescherà un «cambiamento profondo e rapido - ha aggiunto il presidente - che andrà a beneficio dei lavoratori e che lo aiuterà a sradicare una classe politica che ha reso l’Ecuador uno dei Paesi più corrotti».
Fonte: LaRepubblica.it
Affari&Finanza
Banche, guerra al contante
punti premio a chi non lo usa
28 novembre 2006
Articolo di Barbara Ardù
Abi: sconti a chi paga con moneta di plastica anche per piccole spese. Il 70% degli italiani possiede il bancomat ma il 90% delle transazioni è in banconote.
GUBBIO - Guerra al contante. La dichiarano le banche italiane che vogliono far piazza pulita delle banconote, sfatare l’illusione che diano più sicurezza. Chiarire una volta per tutte che pagare con il bancomat non costa nulla. Perché così va il mondo e indietro non si può tornare: tra qualche anno nella Ue ci sarà un unico mercato dei pagamenti, dove il contante avrà vita dura.Al fianco hanno parecchi alleati: il fisco, (il vice ministro Visco sogna un Paese dove le transazioni economiche siano tutte tracciabili); gli stessi italiani (7 su 10 hanno un bancomat, 4 su 10 una carta di credito) e infine il governo, che sull’idea di installare i Pos (la macchinetta dove si passa il bancomat) negli uffici pubblici è pronto a collaborare. Qualche nemico sulla strada dell’innovazione c’è.
La guerra al contante trascina nel baratro tutti quei lavori che garantiscono la circolazione delle banconote, un po’ come accadde ai cambiavalute con l’avvio dell’euro. Perché movimentare i soldi (dal trasporto alla sicurezza), ha un costo elevatissimo: circa 10 miliardi l’anno. “La guerra è appena iniziata - ha dichiarato Giuseppe Zadra, direttore generale dell’Abi - il primo passo sarà incentivare l’uso del bancomat attraverso l’accumulo di punti per spese sotto i 50 euro. E perché non prevedere una detraibilità fiscale per i pagamenti effettuati senza contante”? È la proposta azzardata che Zadra lancia al governo. Ma forse sarebbe già qualcosa la detraibilità dei costi della carta di credito.
Eliminare il cash d’altra parte è propedeutico alla guerra all’evasione. In Francia i pagamenti ai professionisti non possono essere fatti in contante se superano i 100 euro. In Italia il limite è di 1000, fino al giugno 2007, che scenderanno a 500 l’anno dopo. I 100 euro inizialmente previsti per ora sono accantonati. Scoglio duro quello degli autonomi. Perché se i negozianti si sono arresi i professionisti nicchiano. “Sono pochissimi quelli che hanno un Pos”, spiega Domenico Santececca, direttore centrale Abi. E convincerli non sarà facile. “Riteniamo di avere vita più facile con i commercianti - aggiunge Zadra - perché un negozio si sceglie per la convenienza, un medico per la fiducia”.
Con la pubblica amministrazione i problemi sono altri perché si tratta di un moloc composto da 8mila comuni, migliaia di enti, ospedali, tribunali, ognuno con centinaia di sportelli e un proprio tesoriere. Quella che si annuncia è una guerra di trincea, che l’Abi ha tutta l’intenzione di vincere, anche perché il confronto con il resto del mondo è desolante (vedi tabelle). “Il punto - spiega Zadra - è chiarire agli italiani che pagare con il Pos è gratuito, sia che si spendano 50 euro o cinque”.
E la sicurezza? “Nel 99% dei casi vengono restituite al cliente le somme sottratte con fa frode”, assicura Domenico Santececca. L’oblio delle banconote è dunque vicino? Sembra proprio di sì. Le banche d’altra parte ne hanno tutto l’interesse: un cassiere fermo allo sportello a contar soldi costa un euro al minuto.
Italia , oggi; la Seconda Restaurazione Berlusconiana
Pistola e fucili
"A Roma pensano: al Nord sono un po' pirla. Parlano ma poi pagano, quindi non diamogli niente. E finora gli è andata bene. Noi padani pagavamo e non abbiamo mai tirato fuori il fucile, ma c'è sempre una prima volta" (Umberto Bossi, Ansa, 26 settembre 2007).
"Un governo Marini? E' meglio stare lontano dai morti, i cadaveri portano a fondo" (Umberto Bossi, Ansa, 3 settembre 2007).
"Lombardi e veneti sono pronti: la libertà va conquistata, anche con il fucile" (Umberto Bossi, la Repubblica, 26 settembre 2007).
"La libertà non si può più conquistare in Parlamento, ma con uomini lanciati in una lotta di liberazione. Senza la devoluzione, da qui possono partire ordini di attacco dal Nord. Io sono certo di avere dieci milioni di lombardi e veneti pronti a lottare per la libertà" (Umberto Bossi al "parlamento padano", presente Silvio Berlusconi, Ansa, 29 settembre 2007).
"Piccolo fuori programma durante la conferenza stampa congiunta tra Vladimir Putin e Silvio Berlusconi quando una cronista russa, Natalia Melikova, della Nezavsinaya Gazeta, domanda con una certa insistenza al leader Russo se fossero vere le indiscrezioni sulla sua relazione con una ex olimpionica di ginnastica artistica e altri dettagli sulla sua vita familiare e privata. Prima che Putin rispondesse, Silvio Berlusconi sorridente mima con le mani un mitra e lo indirizza verso la giornalista. Putin se ne accorge e annuisce. Quindi, sempre il presidente della Federazione russa replica che non è vero niente e che anche un uomo pubblico ha diritto ad una certa privacy chiedendo inoltre che nessuno 'metta il naso' nelle sue faccende private. Quindi Berlusconi, sempre ironizzando, ha chiesto a Putin un immaginario scambio, sempre scherzando: 'Se sei d'accordo io ti mando la stampa italiana da te e tu la stampa russa in Italia'. Al termine della conferenza stampa i due leader, circondati da decine di telecamere e di giornalisti sono tornati sulla vicenda. In particolare Silvio Berlusconi, rivolgendosi alla giovane minuta cronista ha detto: 'L'aspettiamo da noi la prossima volta'. Quindi, dopo aver presentato uno ad uno i giornalisti italiani presenti al leader russo gli ha indicato un noto 'retroscenista' italiano dicendogli: 'Tu ma lasci questa giornalista e io ti mando lui'. Ma la vicenda continua anche più tardi perché questa giovane cronista russa ha attirato l'attenzione di molti cronisti per essere scoppiata in lacrime visibilmente scossa..." (Ansa, 18 aprile 2008)
"Ancora una volta la satira fa arrabbiare la politica: a far scoppiare il nuovo caso è una vignetta all'interno di 'Emme' (inserto satirico dell'Unita'), dove si vede un uomo con una pistola puntata, obiettivo il ministro della Pubblica Amministrazione e dell'Innovazione, Renato Brunetta. Mauro Biani è l'autore. Ad accendere la miccia della polemica è Maurizio Gasparri: 'La satira è sacrosanta. Bisogna evitare in materia le polemiche. Ma non si può non rilevare la pericolosa ambiguità della vignetta contro il ministro Brunetta pubblicata oggi nell'inserto satirico allegato all'Unità'. Gasparri chiama in causa Concita De Gregorio: 'Non so se il direttore del quotidiano l'ha vista prima che fosse pubblicata. Sono certo che, accortosi dell'errore, vorrà scusarsi con il ministro Brunetta'. E infatti arrivano immediate le scuse di Sergio Staino, direttore dell'inserto satirico, e, a seguire, quelle della
direzione dell'Unità. Staino difende la buona fede che ha ispirato la vignetta: l'autore voleva esprimere 'disagio', ma anche 'vaneggiamento folle'. E tuttavia, aggiunge, se può essere interpretata diversamente, giustifica le scuse da chiedere ai lettori e al ministro della Pubblica Amministrazione e dell'Innovazione, Renato Brunetta. Anche la direzione dell'Unità interviene con una nota e si associa alle scuse di Sergio Staino pur sottolineando che si tratta di satira, priva perciò di intenti che possano generare
il sospetto di 'ambiguità'. 'La direzione dell'Unita', nell'associarsi alle considerazioni di Sergio Staino ivi comprese le eventuali scuse nei confronti di chi si fosse sentito offeso - si legge nella nota - fa tuttavia notare che Emme è un settimanale satirico ('periodico di filosofia da ridere e politica da piangere', si legge accanto alla testata) e che, dunque, l'evidenza del contesto non può ingenerare alcun sospetto di 'ambiguità' sugli intenti della vignetta. Contesto, quello di Emme, che, per la storia e la qualità degli autori e dei collaboratori, è lontanissimo da suggestioni violente, come d'altra parte è confermato dai riconoscimenti che negli anni gli sono stati tributati'. Nonostante le scuse, arriva comunque la dichiarazione del segretario del Pri Francesco Nucara il quale agita lo spettro dei cosiddetti cattivi maestri. A inquadrare la questione in un più ampio contesto è il leader del movimento dei Diritti Civili Franco Corbelli: 'Chi si scandalizza per la vignetta dell'Unità su Brunetta fa finta di non sapere che in Italia cova un forte e diffuso malcontento popolare che, non bastando
più la protesta di piazza, potrebbe sfociare in un pericoloso e incontrollabile ritorno alla violenza. Senza ipocrisia va detto, e lo diciamo noi non violenti, che quella vignetta dell'Unità, che è stato uno sbaglio pubblicare, ha comunque il merito di denunciare un allarme e un rischio reali, che bisogna assolutamente scongiurare e prevenire'" (Ansa, 29 settembre 2008)
(1 ottobre 2008)